I
radioamatori che hanno trasformato
l'ex base Nato in un museo
Un gruppo di
parmigiani dal 2005 hanno in concessione la stazione radio sulla
cima del Monte del Giogo, tra Parma e Massa, utilizzata dagli
americani durante la Guerra fredda. "Nessuna istituzione ci ha mai
dato un soldo per rimettere a nuovo questo posto: è tutto frutto
della nostra passione
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di ENRICO MINGORI
All'ingresso, inchiodato alle robuste sbarre di metallo della
cancellata, c'è un cartello: "Zona pericolosa". Il filo spinato
corre minaccioso lungo l'intero perimetro dell'area, una telecamera
accesa 24 ore su 24 registra qualsiasi movimento avvenga nei pressi
dell'entrata. Già sul ciglio della stradina ripida e sconnessa che
porta all'ingresso una scritta avvertiva: "Vietato l'ingresso". Ma
disobbedendo si arriva a questo sbarramento in ferro dai tratti
sinistri, sul quale si infrange il sentiero asfaltato che porta al
cocuzzolo della montagna.
Siamo sulla cima del Monte del Giogo, Appennino tosco-emiliano,
1.500 metri sul livello del mare. Regione Toscana, provincia di
Massa Carrara, Comune di Comano. Una manciata di chilometri più giù
si parla, e si produce, il parmigiano. Parma è ad un'ora di
macchina, ma sono pochi, in città, a sapere che la Guerra Fredda è
passata anche da questa vetta della Lunigiana, silenziosa solo in
apparenza. Dall'altra parte del cancello sorge l'ex base Nato
"Livorno", una tra le più importanti stazioni radio dell'Alleanza
Atlantica ai tempi della contrapposizione tra i due Blocchi. Dal
1958, per oltre trent'anni, questo complesso da 20mila metri
quadrati ha fatto da ponte a comunicazioni chiave sulla sorveglianza
dei confini con i Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Kennedy,
Kruscev, Regan, Gorbaciov: le loro voci, e quelle dei loro generali,
sono transitate anche da qui. Poi, un giorno, dall'altra parte
dell'Oceano arrivò l'ordine di chiudere
il presidio per far spazio
ai collegamenti satellitari. Era un gelido mattino dell'inverno
1995, il Muro di Berlino era crollato da più di un lustro e i
militari addetti alle apparecchiature radio lasciarono il Giogo per
sempre.
Da allora sono passati quasi 17 anni, ma le due coppie di antenne
paraboloidi da 20 metri di diametro ciascuna sono ancora lì, sulla
punta estrema del monte, a guardare da vicino il cielo e rapire gli
occhi di chi entra nella base per la prima volta: enormi orecchie
dell'Europa filo-americana, simbolo monumentale della civiltà delle
telecomunicazioni. Due puntano verso la stazione francese di Nizza,
due verso quella romana della Tolfa. C'è anche un traliccio, alto
circa 25 metri, con altri due paraboloidi, più piccoli, che
comunicavano con il presidio bresciano di Dosso dei Galli. Dalla
Norvegia alla Turchia, erano 49 in tutto le stazioni europee
rientranti nel Network Nato denominato "Ace High Troposcatter"
(basato cioè sulla diffusione di onde elettromagnetiche nella
Troposfera).
Dalla cima del Giogo la vista tira fino al Golfo di La Spezia.
Quando il cielo è terso, assicura chi questa vetta la conosce bene,
si riescono a scorgere persino la Corsica, da un lato, ed i Colli
Euganei, dall'altro. Il Passo del Lagastrello è appena più giù,
nascosto tra i boschi di querce popolati da cinghiali e cacciatori
di funghi gelosi della loro zona. Fa una certa impressione pensare
che, nel momento stesso in cui qualcuno stava gustando un piatto di
tortelli alla Trattoria Mirca di Rigoso, sui fondali del vicino Mar
Ligure un sottomarino russo cercava di intercettare informazioni
destinate alle base Livorno. "Ha un ché di misterioso l'attrazione
che il Giogo è in grado di suscitare", sospira il signor Marco Toni,
appassionato radioamatore di Parma. "Finché non vieni quassù non
puoi capire". Cappellino con la visiera, ciuffo bianco che spunta
sopra le orecchie, mani da lavoratore, Toni è il presidente del
Gruppo "Ari (Associazione Italiana Radioamatori) Scatter Monte del
Giogo", la squadra di tecnici, tutti parmigiani, a cui dal 2005
l'Agenzia del Demanio ha dato in concessione l'ex base.
Prima, per una decina d'anni, il complesso era rimasto abbandonato a
se stesso. Sebbene il filo spinato e i severi cartelli di
avvertimento siano rimasti in piedi, infatti, al suo addio la Nato
aveva lasciato i cancelli aperti, riconsegnando virtualmente l'area
alla collettività, ma qualcuno di Comano - si mormora un
rappresentante delle istituzioni - se n'era appropriato, facendo
dei fabbricati in disuso la propria stalla. "C'erano cavalli, vacche
al pascolo e letame sparso ovunque, quando siamo arrivati qui per la
prima volta", racconta Toni. Poi, lui e gli altri del gruppo Ari
hanno preso chiavi inglesi e bulloni e riportato il complesso alla
sua originaria funzione: le telecomunicazioni. Prima hanno
installato ripetitori per Protezione Civile, Tim, Vigili del Fuoco e
Carabinieri. Poi hanno trasformato quella che un tempo era la sala
operativa (500 metri quadrati) nel primo museo italiano sulle
apparecchiature radio usate a scopi di difesa. Mica come disse un
paio d'anni fa alla televisione quell'inviato di Striscia la
Notizia, che si era intrufolato abusivamente nell'ex base quando non
c'era nessuno e aveva raccontato di un'area inutilizzata e lasciata
marcire nel disinteresse totale.
Certo, escluso quello posto sulla sommità del monte, gli altri
fabbricati sono effettivamente un cumulo di calcinacci e finestre
staccate, "ma - fa notare Toni - dalle istituzioni nessuno ci
ha mai dato un euro". "Quello che abbiamo fatto qui - aggiunge -
è frutto dei soldi e della passione di noi radioamatori". Su un
muro, una scritta a bomboletta informa che "nello scantinato c'è uno
skeletro" (sic). Notizia vera: si tratta della reliquia di una
pecora. L'ex base, nel corso degli anni, ha subito vandalismi di
ogni tipo: l'ultimo nel giugno 2010, quando all'ombra dei
paraboloidi si tenne un rave clandestino. Il mattino seguente i
tecnici del gruppo Scatter arrivarono su e trovarono sul prato e
dentro i locali una distesa di 200 ragazzi ancora frastornati.
"Fuori dal cancello ad aspettarli c'erano i Carabinieri", sorride
Toni. Poi, il presidente si volta e a gran voce chiama un amico:
"Filippo, vieni qua! Raccontagli di quando sei andato a Pantelleria
e hai scoperto che i paraboloidi prendono fino in Sicilia".
Sembrano bambini che mangiano la cioccolata, il signor Toni e gli
altri radioamatori, quando attaccano a parlare di onde e antenne. E
non sono i soli. "Le telecomunicazioni sono come una droga",
conferma in tono affascinato Luciano Barberis, ex colonnello Nato,
per 27 anni responsabile tecnico della Rete Ace High in Italia e a
Malta. Genovese, fisico asciutto e occhio sveglio, Barberis è in
pensione dal 1998, ma di quel periodo ricorda tutto: "Ho fatto una
vita matta - riflette - , ero sempre in giro come uno zingaro. In
meno di 30 anni ho fatto 3 milioni di chilometri di auto, passavo
dai 2000 metri di Dosso dei Galli alle spiagge di Valletta". "La
famiglia è quella che ha patito di più - riconosce - , a casa ci
si tornava il venerdì, quando si poteva, e si ripartiva la
domenica". Le comunicazioni, però, andavano avanti anche durante il
weekend: "Il flusso di onde non doveva mai interrompersi - spiega
l'ex colonnello -, se il segnale rimaneva assente per più di un
minuto eravamo obbligati a fare rapporto scritto". "Ma le
apparecchiature - chiarisce fiero - erano all'avanguardia: in
caso di attacco nucleare o missilistico, l'allarme arrivava a tutte
le stazioni europee nel giro di 30 secondi".
Comandante della base Livorno in quegli anni era Ersilio Brugnoni:
ascolano di nascita, comanino di adozione. "Tra personale Nato e
Carabinieri - ricorda - eravamo circa in 25 alla base: una
piccola comunità molto affiatata". Tecnici, più che militari. "Il
bunker? Mai usato in 30 anni". Brugnoni arrivò al Giogo per la prima
volta nel 1966 e da allora non ha più lasciato la Lunigiana. Colpa
di quella sua divisa militare che fece breccia nel cuore di una
ragazza giù in paese. L'ex comandante la sposò e ancora oggi,
pensionato, vive con lei e i loro figli a Comano.
Il paese andava d'accordo con i militari, osserva Giorgio Galeazzi,
che di Comano è stato sindaco tra gli anni Settanta e Ottanta e che
di Brugnoni è grande amico. "La sera - dice - ci si trovava
insieme a bere un bicchiere, si andavano a vedere gli allenamenti
dello Spezia calcio, che d'estate veniva qua per il ritiro
precampionato. E poi facevano girare l'economia". Il benzinaio lungo
via La Costa rimpiange quei tempi: quando le camionette della Nato
gli assicuravano 50 litri di benzina al giorno. E anche Arturo Mori,
presidente della Pro Loco di Comano ricorda con una punta di
nostalgia gli anni della base Livorno: "La strada che porta alla
cima del Giogo - fa notare - la asfaltarono i militari".
Nel 1972, racconta l'ex sindaco Galeazzi, Comano fu colpita da una
terribile alluvione: il torrente Taverone si portò via il ponte di
Tavernelle, le strade di montagna si spaccarono e il paese rimase
isolato, senza luce e con un fiume di fango e animali morti che
scorreva lungo la via principale. Scene che ricordano il dramma
delle settimane scorse nelle vicinissime Aulla e Cinque Terre. "Fu
grazie alla stazione del Giogo che riuscimmo a dare soccorso alla
popolazione - sottolinea con l'indice alzato Galeazzi - : la
Prefettura comunicava le indicazioni al presidio Nato e la Nato le
girava alla caserma dei Carabinieri".
A Comano la gente preferisce Parma a Massa Carrara. Lo dicono tutti:
l'ex sindaco, il presidente della Pro Loco, gli albergatori. Arturo
Ferrari, titolare della pensione Miramonti si lamenta dei turisti
italiani, "i più maleducati", e degli affari che non vanno più come
un tempo: "Il paese è morto", constata amaro.
Dal centro di Comano, levando le sguardo all'Appennino, si
riconosce, piccolissimo lassù, il bianco delle antenne paraboloidi
dell'ex base. Posto in cima alle montagne, l'ex presidio ricorda una
roccaforte medioevale che sorveglia la vallata. E in effetti
anch'esso può essere considerato un pezzo di archeologia militare.
Poi, riportando gli occhi al paese, si scopre che la piazza di
fianco al Municipio porta il nome di Guglielmo Marconi, l'inventore
della radio. E allora si capisce che, forse, è tutto "collegato".